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Sabato 9 aprile don Adolfo Macchioli, direttore della Caritas diocesana di Savona, ci ha aiutato ad allargare lo sguardo e comprendere come la carità non sia fatta solo di cose donate ma soprattutto di persone che si mettono in relazione.
Partendo dal Vangelo di Marco 6, 30-44 ha messo l’accento sull’esigenza di “stare in disparte con Gesù”. E’ il rapporto con Gesù nella preghiera, nel silenzio, che ci aiuta nel fare, nelle azioni di carità. Occorre sempre partire da - e tornare – allo stare con Gesù, che ci scalda il cuore e ci dona la forza di fere le cose e farle bene.
La prossimità di Gesù è gratuita. Anche noi dobbiamo stare vicino al povero senza farci riconoscere e senza pretendere ringraziamenti. Gesù ci chiama ad amare il povero anche se fa cose che non ci piacciono. Questo non significa permettergli di fare tutto ciò che vuole, significa amarlo, volergli bene. Se fa cose sbagliate occorre intervenire con una azione educativa, anche forte, ma continuare ad amarlo ugualmente.
Gesù ha la capacità di “andare oltre”: i discepoli vedono soprattutto gli aspetti organizzativi legati alla folla che lo segue; Gesù invece si commuove, le vede come pecore senza pastore… La nostra risposta spesso è quella che ci impegna meno, come persone: dare una cosa, dare soldi. La risposta invece dovrebbe essere quella che ci mette in discussione ed in relazione. Il non fare nulla ci lascia nelle nostre sicurezze. Troviamo sempre scuse per non fare: perchè aiutiamo loro e non tutti gli altri? La risposta che dovremmo darci è: facciamolo per tutti!
La povertà è soprattutto la “mancanza di possibilità”. Se anche fosse possibile, non sarebbe sufficiente dare casa e lavoro a tutti perché la difficoltà, dopo, è quella di starci dentro (alla casa ed al lavoro) con tutti i problemi dovuti alle incapacità e sofferenze, vecchie e nuove. Da qui la maggiore necessità di accompagnare, di educare, di affiancare rispetto a quella di dare cose, anche se necessarie.
Il povero ti provoca, ti frega, ti mette alla prova… eppure c’è ed occorre farci i conti. Il Vangelo ci mostra come il nostro desiderio, tante volte, è quello di voler stare un po’ in disparte con Gesù e invece ci tocca di servire: voi stessi date loro da mangiare! Non è importante quanto abbiamo (cinque pani e due pesci) ma “quanto siamo disposti a metterci in gioco”, quanto siamo disposti ad andare oltre le esigenze del povero e diventare loro compagni di viaggio. Occorre rifiutare la logica che ci fa dire: scelgo la strada che mi impegna meno, il dire: do alcune cose ma non mi metto in gioco. Questo perché se invece mi metto in gioco, succedono piccoli miracoli.
Occorre decidere di mettersi a servire a partire da quel poco che si ha (2 pani e 5 pesci). Non dobbiamo pretendere che chi ha molto (sempre gli altri) lo condivida coi poveri. Occorre partire da noi e da quel poco o tanto che abbiamo.
Nostro compito è anche quello di fare in modo che non si nascondano i problemi, nella comunità civile come in quella ecclesiale. Nostro compito è quello di allargare la rete di relazioni, far presenti le situazioni esistenti ai servizi pubblici ma anche alla comunità cristiana. Pregare per i poveri; comunicare alla comunità quanto si sta facendo, soprattutto come relazioni; metterci a disposizione, a partire dai tempi liturgici forti; chiamare i giovani a mettersi a disposizione; imparare ad osservare, a discernere le povertà; darsi gli strumenti per leggere le situazioni e fare ciò di cui c’è realmente bisogno, non ciò che ci piace fare e che a volte risponde più ad un nostro bisogno; trovare risposte non solo finalizzate ad offrire servizi ma a creare relazioni.
Dopo la pausa sono emerse alcune criticità presenti nelle nostre comunità parrocchiali: la carità vista come un settore ‘marginale’ nella Chiesa, rispetto agli altri “settori”; gli immigrati visti come invasori musulmani; la fatica a raccogliere alimenti e risorse perché si pensa che: più diamo, più continueranno a venire; ma dobbiamo proprio aiutarli? Sono emerse le esperienze negative di accoglienze in appartamenti, l’arroganza di alcune persone: ti mi devi dare… io ho bisogno e tu mi devi aiutare… Sono emerse le perplessità di alcuni: perché noi (cristiani) dobbiamo dare, aiutare… quando loro (musulmani) nei loro paesi in alcuni casi addirittura perseguitano i cristiani…? E’ emerso come anche nelle nostre comunità cristiane sono sempre più presenti questi discorsi e queste mentalità “da bar”.
Don Adolfo ha concluso ricordando come, per non cedere a questa mentalità, occorre ascoltare Gesù, la sua parola, fermandoci, sostando, meditando sul fatto che Gesù non ha creato barriere. Poi rimane vero il fatto che non dobbiamo accettare le prepotenze, la distruzione di cose, appartamenti e strutture, le falsità…
Il messaggio finale, condiviso da tutti, è stato quello della necessità di coinvolgere molte più persone nelle diverse realtà parrocchiali. Solo con la presenza di più persone disponibili, riusciremo a non fermarci al solo aspetto del fare e del dare. Solo con più volontari riusciremo ad accompagnare, affiancare, sostenere di più i poveri e le diverse situazioni di bisogno.
Buona Pasqua a tutti!